Ogni volta che si parla con qualcuno che è più grande di noi, ad un certo punto salta sempre fuori qualche parola mai sentita o che, magari, abbiamo dimenticato. E ne sono venute fuori diverse durante queste interviste.
Termini che probabilmente, se non fissiamo nella memoria, andranno presto perduti. È ormai raro, infatti, che un ragazzo parli il dialetto stretto dei nonni. Spesso la parlata è italianizzata o addirittura “condita” con parole straniere.
In questa sezione vogliamo allora condividere un prontuario per interpretare lo “slang” più estremo dei nostri nonni, che ci auguriamo venga arricchito sempre più grazie alla collaborazione di tutti voi! E…se abbiamo scritto qualcosa di inesatto, siete autorizzati a correggerci!
Benèl: cesta di vimini, corbello
Bugàda: bucato. “Far la bugàda” significava andare alla fontana a lavare il bucato
Ceston: gerla, fatta con i rami di nocciolo o di betulla, della capacità, in genere di due staia (circa 45 litri)
Còssi: vermi
Ciutàra: borraccia; ricavata dalla zucca svuotata dai semi e fatta essicare, spesso utilizzatea per il trasporto illegale della grappa
Farlèt: strame secco per rifare la lettiera alle bestie, lettime; cfr. anche dalèt
Nar par dalèt: andare a recuperare lo strame secco per rifare la lettiera alle bestie
Orèl: imbuto
Seslòt: falcetto utilizzato per tagliare l’erba
Sfoiàzi: cartocci, le foglie che racchiudono la pannocchia
Solfro: zolfo, utilizzato come antiparassitario in polvere
Stàbit: soffitta
Stol: cunicolo da miniera; nel nostro caso, il foro che veniva realizzato nelle cave di porfido dove posizionare l’esplosivo
Zibòga: fisarmonica diatonica, termine usato anche per la fisarmonica in generale
Zivec: pezzo di legno